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La notte, il silenzio, il vento e l’utero

In occasione della Pentecoste, Dante Balbo condivide su Cantieri Cristiani la sua esperienza di psicoterapeuta nel particolare percorso di rinascita. Un’appassionata testimonianza del parallelismo fra rinascita nel corpo-mente e rinascita dallo Spirito Santo.

“Si accomodi!”

Il paziente si siede sulla poltrona davanti a me, volgendomi le spalle, come previsto da quanto gli ho spiegato la volta scorsa.

“Le regole sono quelle che le ho esposto, le ricorda? Può dirmi quello che vuole, senza censura morale, logica o di rilevanza!”

Comincia così la notte, lo spazio dell’incontro segreto, unico, in cui una domanda inespressa scorre con mortale inesorabilità: “potrò essere mai felice?” L’ansia, la tristezza, il senso di fallimento, le ferite vere o immaginate, le delusioni, sono il bagaglio che il paziente si porta dentro e vuole sapere se c’è un senso in tutto questo. Non un significato, non una spiegazione, proprio un senso, una direzione, un posto che non sia la fine di tutto, l’inutile schiantarsi dopo una corsa senza meta.

Inizia in questa notte il duello, la battaglia per permettermi di accompagnare il paziente oltre le sue spiegazioni. Lucido, certe volte spietato, sa cosa fa, cosa lo tormenta, come si è generato, quando, per quali cause. Cosa posso saperne io, che non ho vissuto niente di quello che ha provato lui!

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Il silenzio della notte non è nemico dell’uomo, ma lo spazio che si dilata, per permettergli di lasciare il suo castello di carte, per provare ad andare oltre. Quando pian piano scopre che quello che sa non lo aiuterà, perché lo sapeva anche prima di venire da me, finalmente comincia ad aspettare, a sperare che ci sia altro, che non ha visto, che non ha sentito.

Allora posso cominciare a chiedergli: “Lo senti il vento? Non lo puoi afferrare, non sai da dove viene e forse non è così importante; non sai dove va, ma forse cominci a pensare che potresti lasciarti portare, che il tentativo di catturare il respiro della vita dentro i tuoi piccoli schemi ti ha imprigionato, anziché liberarti.” I primi voli sono goffi, stupiti, incerti, perché il vento fa paura, si può cadere, farsi male come è sempre successo prima. Il primo passo in realtà il paziente lo ha fatto quando è venuto e si è deciso a lasciare che la sua domanda sorgesse dalle viscere, trapelasse dal suo dolore.

Ormai si fida, sa che forse non lo lascerò cadere e comincia a sperimentare la gioia di essere libero. Il momento più delicato di una terapia è proprio questo, in cui l’utero della compassione lo aiuterà a generare una nuova vita. A un certo punto glielo devo dire, esplicitare: “Non si tratta di sciogliere solo i legami, di lasciarsi portare dal vento, bisogna rinascere!

Lo ha già detto qualcuno ad un vecchio saggio, che aveva avuto il coraggio di andare da lui e fargli la domanda cruciale. Se però glielo dico troppo presto, il paziente non sarà pronto, se troppo tardi, si accontenterà di potersi muovere un poco in uno spazio un po’ più grande della sua prigione di prima e sarà soddisfatto così, finché l’urgenza del desiderio di senso non tornerà a tormentarlo.

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Rinascere non è risorgere, perché nella risurrezione siamo gli stessi di prima con un orizzonte infinito. Risorgere è la meta, ma per raggiungerla si deve rinascere e rinascere dall’alto. Per i credenti vuol dire lasciarsi plasmare dal Vento dello Spirito nell’utero di un Dio Padre e Madre. Per chi attraversa la notte della psicoterapia la rinascita è lo spazio in cui si accoglie che non ci bastiamo, che ci vuole qualcuno di cui ci fidiamo al punto da credere che non ci plasmerà secondo i suoi capricci, ma lasciando che scopriamo la nostra identità senza temere l’eredità che ci portiamo dentro.

Il risultato è lo stesso, se è vero: il credente si immerge nella pienezza dello Spirito e diventa portatore irresistibile dello stesso Vento che lo spinge; il paziente si apre alla vita, impara a fidarsi del mondo, non perché è piacevole, ma perché qualsiasi siano le condizioni non potranno più definirlo, spiegarlo, incatenarlo.

Per lui posso solo sperare che riconosca in questa rinascita il tocco leggero della Grazia che i credenti chiamano Pentecoste, fuoco d’amore che non brucia, ma incendia la vita, acqua che non annega, ma disseta tutti coloro che la bevono, vento che scuote le certezze per farci volare liberi, lingua nuova che dice il prodigio della vita.

(altri approfondimenti sulla Pentecoste, nel nostro canale YouTube