Carla Faggioli condivide una chiave di lettura psico-spirituale dell’esperienza dei discepoli di Emmaus raccontata nel Vangelo di Luca, esperienza questa che ha ispirato il brano pubblicato da Cantieri Cristiani “Emmaus 2020” (ascoltalo guardando il video).
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Lc, 24, 35)
La morte di Gesù è stata un gran dolore per gli apostoli. Certamente hanno sofferto perché non potevano averlo fisicamente con loro, sicuramente hanno vissuto lo strazio di una morte brutale, ma credo che ad averli profondamente feriti sia stato il significato della crocifissione.
I capi religiosi avevano fatto sì che a Gesù fosse inflitta una morte infamante All’epoca le pene capitali avvenivano, tra i Romani, per decapitazione e, tra i Giudei per lapidazione o strangolamento. A Roma, la crocifissione era destinata alla feccia della società, a coloro ai quali per la gravità dei crimini commessi veniva tolto ogni diritto e dignità, e per questo era considerata una morte infamante. Scribi e farisei sapevano bene di non potersi liberare di Gesù in altro modo, per evitare di trasformarlo in un martire agli occhi del popolo, aumentando l’importanza del suo messaggio rivoluzionario. Questo non lo potevano permettere. E così il loro piano era quello di mostrare che Gesù non solo non fosse il Messia (secondo le Scritture questi non sarebbe mai morto), ma che fosse un impostore, un maledetto da Dio, come è scritto nel Deuteronomio: “’l’appeso è una maledizione di Dio” (Dt 21, 22-23). Quindi la morte in croce di Gesù aveva dato loro ragione.
Con questa premessa possiamo immaginare lo sconforto dei discepoli, che probabilmente pensavano di aver seguito un ciarlatano.
La loro sicurezza, autostima e grinta sarà andata sotto terra, insieme ai loro sogni di gloria.
Il bisogno di tirarsi su, di uscire dal tunnel dell’autocommiserazione e della delusione, per tornare a sperare e credere in se stessi lo conosciamo tutti, quando vediamo andare in frantumi i nostri progetti, quando non vediamo soluzioni e sembra che nulla abbia più senso nella vita.
Ognuno di noi ha le sue strategie quando vive situazioni così dolorose. Talvolta, piuttosto che intraprendere la strada per la Galilea, indicata da Gesù per ricevere le potenti risorse dello Spirito Santo, ci dirigiamo anche noi ad Emmaus, cioè ad una zona di comfort che come una gabbia dorata ci impedisce di spiccare il volo nella verità di noi stessi.
I discepoli, delusi e confusi di fronte alla sconfitta di Gesù, sentono il bisogno di ritornare alle antiche certezze della tradizione giudaica, al sogno glorioso di un Messia invincibile che con la forza li condurrà a dominare i popoli pagani. Ed Emmaus è un luogo molto caro alla tradizione ebraica, citato nel libro dei Maccabei per una potente vittoria degli Israeliti contro i pagani, grazie all’intervento divino. Per questo i due discepoli hanno deciso di raggiungerla. Sono così affezionati alle loro ambizioni nazionaliste, che è più facile accettare di essere stati raggirati, o quantomeno illusi, dal Nazareno che mettersi in discussione e scoprirsi influenzati da pregiudizi e pretese della tradizione religiosa. Quante volte Gesù durante la sua predicazione aveva detto che sarebbe stato ucciso e quante volte li aveva rassicurati sulla vita eterna, ma niente, loro non riuscivano ad accettare l’idea della sua morte. Di conseguenza, non solo non potevano vederlo vivo, ma per far quadrare i conti avevano proprio bisogno di vederlo morto! Infatti, la morte di Gesù permetteva ai discepoli di continuare ad attendere l’arrivo di un Messia bellicoso, mentre la sua resurrezione era inaccettabile, un serio pericolo: non solo rompeva definitivamente le convinzioni tramandate per generazioni, ma voleva dire che i discepoli si erano sbagliati nel giudicare la figura di Gesù. Quale grande terremoto per le loro coscienze. Significava ammettere che nonostante tutti quegli anni trascorsi insieme non lo avevano conosciuto e, ancor peggio, che non era stato Gesù a deluderli ma erano stati loro stessi ad illudersi e a ridefinire il suo insegnamento confondendo il Regno del Padre con il Regno di Israele!
Quindi, incamminarsi verso Emmaus significa, oggi come allora, cercare conforto in un passato idealizzato, vivere nel rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non è stato, illudersi di poter controllare il futuro. Tornare alla zona di comfort vuol dire non mettersi in discussione, non affrontare ambivalenze e conflitti interiori; vuol dire pensare di realizzare desideri e aspettative senza tener conto degli aspetti ostici della realtà; vuol dire selezionare i ricordi, in modo che gli eventi dolorosi e frustranti confermino le convinzioni più comode. Si tratta di un’inconsapevole distorsione della realtà e la parte tragica è che chi la opera non può accorgersene da solo, perché una volta che ci si convince di qualcosa, tutto sembra tornare chiaro e si ritrova quel senso che dà sicurezza e direzione alla vita. È indispensabile allora un aiuto esterno. Talvolta basta il confronto con un amico, o con una guida spirituale, per riacquistare lucidità, altre volte è necessario rivolgersi ad un professionista per verificare e analizzare i dati del proprio vissuto.

Nel brano evangelico a cui ci riferiamo, è Gesù che interviene per aiutare i discepoli a rimettere insieme gli eventi in modo chiaro e veritiero. Come Pastore buono, che non lascia perduta neanche una pecorella, si avvicina a loro con discrezione, entra nella loro lettura dei fatti con delicatezza, senza accuse e giudizi, poi restituisce loro le “parti” che si erano persi e li aiuta ad interpretare il tutto e, in questo percorso, non solo ritrovano il senso vero dei fatti accaduti, ma anche loro stessi.
I discepoli, che dopo la crocifissione non si erano messi in discussione per scoprire quali pregiudizi ed egoismi li avessero allontanati dal credere e confidare nelle parole del Maestro, finalmente, adesso, sono pronti per riconoscere il Signore.
Gesù si era avvicinato senza che glielo chiedessero: ha anticipato il loro bisogno e si è donato gratuitamente fino a fargli ardere il cuore. Anche con noi fa così, sempre; ci accompagna in ogni evento e attende con rispetto che interagiamo con Lui. Appena lo facciamo entrare nella nostra vita, inizia, come per i due discepoli, un dialogo crescente che scioglie i dubbi e svela il significato dell’esistenza. Questo brano evangelico, mentre ci parla della nostra tendenza umana a ritornare alle zone di comfort, ci rassicura che non saremo mai abbandonati, che Gesù è sempre pronto a farci fare la stessa esperienza dei due discepoli. Questo è un racconto che risveglia il desiderio dell’amicizia col Signore della Vita. Quando i discepoli hanno avvertito che dalle parole di Gesù stavano ricevendo vita, si sono resi conto della preziosità della sua compagnia e gli hanno chiesto di restare ancora. Gesù avrà gioito in quel momento, sarà stato felicissimo di potersi donare pienamente ai suoi. E il senso di pienezza dei discepoli coincide con la sua offerta totale…
Lo riconobbero allo spezzar del pane: Gesù vuole saziare la fame di speranza e dissetare l’arsura di amore di ognuno di noi. Lui sa di chi o di che cosa servirsi per farsi vedere concretamente da noi, per far sì che lo riconosciamo. Infine, come fu per i discepoli, si sottrarrà alla nostra vista: non avremo più bisogno di segni materiali, sensoriali ed emotivi…. ormai vediamo il Vivente!
Nata a Napoli nel 1973 si è laureata in Psicologia presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma nel1997. Si è specializzata in Psicologia Clinica e Psicoterapia presso la stessa Università nel 2002 e nello stesso anno ha conseguito il titolo come Analista Transazionale presso l’IRPIR di Roma. Collabora dal 2005 per la formazione dei seminaristi in Campania e ha ottenuto il Master in Psicoterapia Vocazionale presso l’Università Pontificia Lateranense di Roma nel 2008. Attualmente lavora a Lugano come psicoterapeuta presso il Centro Luvini.